qz falivera 11Confesso che di solito non sono troppo propenso a imbarcarmi in ragionamenti toponomastici sull'origine antica dei nomi dei luoghi, soprattutto in considerazione del fatto che già tante illustri menti di eruditi locali si sono impantanate in queste insidiose sabbie mobili, ora lusingandosi nelle suggestioni di assonanze pseudo etimologiche, ora infervorandosi in intricate elucubrazioni latino-celtico-germaniche.

Però un'eccezione la faccio volentieri, soprattutto perché il toponimo in questione lo si può osservare quasi nel momento stesso della sua origine attraverso una autorevole testimonianza praticamente in diretta.

Due parole sul testimone: si tratta di Pandolfo Nassino (1486-1543?), un funzionario bresciano della piccola nobiltà un po' spiantata, cui capitò di essere sorteggiato per due volte come vicario di Quinzano, nel 1536 e nel 1541. Il paese all'epoca era capo di un distretto chiamato "quadra", ed era sede di un "vicario maggiore", estratto a sorte solitamente fra aprile e maggio dal consiglio cittadino e inviato in loco col suo pomposo sèguito, per esercitare funzioni amministrative e di giustizia civile per cause di modesta entità.

Il Nassino, per nostra fortuna, era un po' grafomane e aveva uno spirito spiccatamente invadente e pettegolo: per questo ha lasciato un grosso volume di appunti (più di 800 pagine) in cui parla e sparla di tutto e di tutti, compresi qua e là personaggi ed eventi relativi a Quinzano, che doveva conoscere di persona, avendo risieduto in paese per un paio d'anni durante i suoi incarichi di funzionario pubblico.

Una delle pagine del suo zibaldone (è il manoscritto C.I.15 della Biblioteca Queriniana di Brescia, p. 656) porta il titolo «De morti nela terra de Quinzano», cui segue una lista di una quarantina di omicidi ("morti" qui significa appunto "ammazzati") dei più disparati generi e qualità, di cui forse il funzionario era in parte stato testimone di persona, e in parte saputo dai registri di polizia o del giudice penale (il testo commentato si può leggere in Casanova 1993). Ma qui ci interessa in particolare il secondo crimine, che riportiamo con quelli immediatamente adiacenti che gli sono collegati:

Iacom Patí che al presente se chiama di Patini fo morto de Alisandro trapa de quinzano
Agnes moier del quondam Iacom pinarul tosichete ditto Iacom suo marito Et Agnes poi fo morta dal soprascritto Alisandro trapa in la caneva, Et ge tolse li dinari, Et poi la misse in uno sacho Et la portó al fiume de olio, Et la butete dentro, al loco doue é la giesia de Sancto Silvestro, apresso la terra de montesei di brusati, cum uno sasso messo al sacho, qual sasso fo tolto ala maystá de poffa lovera, loco de quinzano, dove é la posessione de messer Alisandro patí ditto di patini, se diseva poffa lovera per che in quello loco se piliava li lupi, Et fo portata per bertolí patí dit olfí per Cognome, Et poi ditto bertolí fo morto fora del paiese bressano, Et fo trouata ditta Agnes da lí é quindici dí Et fo sepulta in ditta giesia de Sancto Silvester,
Antoní di Palazi amazó ditto Alisandro
Antoní palazo soprascritto amazó Maté manzul
Andrea marí amazó ditto Antoní palazo

Il testo non è proprio un prodigio di chiarezza, e ha bisogno di qualche chiarimento nella forma e nella sostanza: ci proviamo parafrasando in linguaggio più comprensibile.

Giacomo Patina (Patini), in dialetto Patì, fu ucciso da Alessandro Trappa di Quinzano: e fin qui è tutto chiaro. Fatto sta che in sèguito lo stesso Alessandro Trappa assassinò in cantina (càneva) una certa Agnese moglie di Giacomo Pinarul (forse Pianaroli), la quale a sua volta aveva avvelenato (tosichete) suo marito. Il Trappa, dopo aver ammazzato la sua vittima in cantina, le prese i soldi, la infilò in un sacco, la trasportò in riva al fiume Oglio, e la buttò nel fiume  presso la chiesa di San Silvestro di Monticelli (qui il cronista cade in un lapsus attribuendo al villaggio di Monticelli l'epiteto "di Brusati", che è un luogo da tutt'altra parte, mentre all'epoca quello della Bassa era detto Monticelli "dei Griffi", e la chiesa è tuttora esistente nel cimitero, proprio sul ciglio dell'alveo antico del fiume).

Qui però le cose si complicano: per far sparire il cadavere, nel sacco era stata messa una pietra presa nella proprietà di messer Alessandro Patina, e l'operazione di occultamento del cadavere era stata compiuta da Bertolino Patina soprannominato "Olfi" (forse "Olfì"): quindi due Patini complici dell'omicidio di un Patina: una faida familiare? Bertolino poi a sua volta fu ucciso fuori dal Bresciano, dove era fuggito probabilmente per riparasi dalle vendette di famiglia, che non risparmiarono nemmeno Alessandro Patina, ucciso da Antonio Palazzo, a sua volta eliminato da Andrea Marino, dopo aver fatto fuori un Matteo Manzul (Manzoli?). Alla fine, dopo quindici giorni il corpo di Agnese Pianaroli riemerse dal fiume e fu seppellito nella vicina chiesa di San Silvestro.

Una brutta storia a puntate di torbide relazioni e faide famigliari.

Ma quel che ci interessa qui, più che la vicenda, è il dettaglio topografico con la successiva esplicazione etimologica: la pietra usata come contrappeso per far affondare il cadavere di Agnese nell'acqua era stata presa presso la santella (maystá) della "poffa lovera", che «se diseva poffa lovera perché in quello loco se piliava li lupi».

Ora bisogna dire, per chi non lo sa, che nella campagna di Quinzano, a sud-est dell'abitato, sui margini di un'antica ansa del fiume probabilmente prosciugata da molti secoli, sorge un grosso cascinale detto "Falivéra", con un nome però molto italianizzato che poco corrisponde alla sua origine vernacolare, meglio rispecchiata dalla forma dialettale odierna "Faléra", o nelle carte più antiche, almeno dal '400, "Bofaléra", ricondotto da Gandaglia (1965) nelle sue riflessioni toponomastiche ai "bufali" che vi avrebbero tempo pascolato.

Qui il Nassino ci dà invece la precisa origine del nome, appunto da "poffa lovera" (pòfa luéra), ossia "fossa dei lupi", o meglio  ancora "valle delle trappole per i lupi": in effetti "pòfa" (forse da "fopa", latino "fovea"?) per il Melchiori (1817) significa «Lacuna. Concavità di terreno. Avvallamento» (II p. 126), mentre "luéra", evidentemente aggettivo derivato da "luf" (lupo) vale «Trabocchello. Luogo fabbricato con insidie dentro il quale si precipita a inganno» (I p. 339). Quindi la località prendeva nome dalle trappole per i lupi in forma di fosse coperte di sterpaglie dove venivano attirati e cadevano senza scampo.

Del resto il Nassino stesso, proiettando l'etimologia nel passato («se diseva... se piliava...») lascia intendere che la questione della cattura dei lupi non era esclusiva del suo tempo, il che è confermato da numerose delibere del consiglio cittadino riferite al problema. Ne prendo una per tutte, dal registro delle Provvisioni del Comune di Brescia dell'aprile 1457 (497, c. 9r[2]):

Item intelligentes quod per lupos pestiferos quam plures persone interfecte essent deliberaverunt quod die lune que erit dies secunda madij publice & generaliter fierent venationes contra ipsos lupos & ut radicitus ex territorio brixiensi eradicentur quod scriberetur omnibus potestatibus et vicarijs et consulibus terrarum brixiensium quod die suprascripta cum maiori numero venatorum et canum possibili ad hoc comune incendium extinguendum conveniant & ut penitus eradicentur posita fuit pars tenoris infrascripti videlicet: Vadit pars quod de omni lupo vel lupa consignato Magnifico domino potestati vivo vel mortuo dentur consignantibus libre sex planetorum exceptis lupis qui capientur in presenti venatione publica de quibus dentur tantummodo soldi quatraginta planetorum.

(Consapevoli che da lupi pericolosissimi sono state uccise parecchie persone, [i consiglieri] hanno deliberato che lunedì 2 maggio pubblicamente e dappertutto si facciano cacce ai lupi, e per sradicarli drasticamente dal territorio bresciano, si scriva a tutti i podestà, vicari e consoli dei paesi bresciani che in quel giorno si ritrovino col maggior numero possibile di cacciatori e di cani per estinguere questo diffuso incendio, e perché siano sradicati del tutto è stata decisa la seguente proposta: Si delibera che di ogni lupo o lupa consegnato vivo o morto al magnifico signor podestà si diano a chi li consegna 6 lire planet, eccettuati i lupi che si prenderanno nella presente caccia pubblica, per i quali si diano solo 40 soldi planet.)

È inevitabile, a questo punto, associare la plausibile etimologia pertinente allo sterminio dei lupi a tutti i toponimi del tipo "Buffalora/Boffalora" di cui è costellata l'area lombarda, e in particolare il bresciano, dalla frazione di Caionvico, al mulino di Bassano, alla cascina di Manerbio (Gnaga 1937, p. 107; che pure riporta "Poffa" e Poffe", p. 466, senza però collegarle a "Boffa").

Resta il rammarico di mettere in discussione d'ora in poi, senza neanche troppi rimpianti, l'interpretazione di "boffa l'ora" col significato ingenuamente petrarcheggiante di "soffia l'aria" (Olivieri 1961, p. 94).

(tc, luglio 2022)

Riferimenti documentari e bibliografici

  • Nassino, Pandolfo, Registro delle cose seguite..., Brescia - Biblioteca Queriniana: ms C.I.15
  • Brescia - Archivio di Stato: Archivio Storico Civico, reg. 497
     
  • Casanova, Tommaso, (a cura di), 1993
    Frammenti di una terra. Il paese di Quinzano intorno al 1540 negli appunti di Pandolfo Nassino e nella relazione di Annibale Grisonio, (‘I Quaderni del Castello’, 2), Bordolano-Quinzano d’Oglio, Cassa Rurale ed Artigiana di Bordolano - GAFO-Quinzano, pp. 128
  • Gandaglia, Pierino, 1965-66
    "Toponimi di Quinzano", L’Araldo di Quinzano, a. II n° 1, p. 7; n° 2, p. 7; n° 4, p. 8; n° 10, p. 8; n° 4|5, 1966, p. 7.
  • Gnaga, Arnaldo, 1937
    Vocabolario Topografico-Toponomastico della provincia di Brescia, Appendice ai Commentari dell’Ateneo per l’anno 1936, stampa 1937, Brescia, Ateneo di Brescia, a. XV, pp. 656; rist. anast.: Brescia, Giornale di Brescia, 1981
  • Melchiori, Giovan Battista, 1817
    Vocabolario Bresciano-Italiano, Brescia, [Tip. Franzoni e Socio], voll. 2 [1º A-L; 2º M-Z].
  • Olivieri, Dante, 1961(2)
    Dizionario di toponomastica lombarda. Nomi di comuni, frazioni, casali, monti, corsi d'acqua, ecc. della Regione Lombarda, studiati in rapporto alla loro origine, Milano, Ceschina, pp. 603